mercoledì 25 gennaio 2012

L'Astrologia nell'Antica Roma

                        Le Sfere Celesti nell'ANTICA ROMA

    
<<Cultura dell'Antica Roma: <<"Fato Astrologico"  o  "Necessità Astrale">>?

        Le dottrine astrologiche giunsero nel mondo latino attraverso la cultura ellenistica  e fu allora che  si incontrarono con le concezioni stoiche della natura.
Esse contribuirono alla genesi di una cosmologia o metafisica della natura quale ordine  razionale,  scandito dal moto degli  astri:  fato o  destino,  se  esteso alla vita dell'uomo.  Come teoria matematica dei moti planetari, l'astrologia ebbe grande parte nella concezione stoica della "Ciclicità del Divenire", 'Eterno ritorno di ogni evento  generato dal ritorno delle stesse posizioni degli Astri (allo scadere di ciascun "grande anno"  ).
        Posidomio di Apamea, maestro di Cicerone, del quale sono rimasti solo pochi  scritti;   esercitò  l'influenza decisiva nel permeare di elementi astrologici la filosofia stoica, sviluppando la teoria del"Fato Astrologico"  o  "Necessità Astrale".      Egli asserì che sussisteva il cosmo come un organismo vivente del rapporto  uomo-mondo   inteso   come  dialettica  tra  microcosmo  e macrocosmo, e la dottrina dell'immortalità e preesistenza dell'anima individuale.
Di  contro  a  questa  posizione  stoica,  deterministica,  per  cui l'Astrologia  è  scienza  matematica  che  spiega  razionalmente  la Causalità necessaria di tutti  gli eventi a partire dal moto dei corpi meteorici, si affermò anche un'altra teoria di impronta neoplatonica (leggere Plotino in Enneade Il, libro III) in base al quale tutti i moti degli Astri "non sarebbero Cause  Necessarie  degli eventi, ma solo segni o indizi significativi di eventi possibili"  (205 - 270 a.C.), concetto che fu ripreso più tardi dei tomistici.'           Nel mondo classico il  determinismo si presentò in due aspetti: uno propriamente fisico e un altro morale.  Per esempio Democrito concepì la natura  come  interamente  regolata  dal movimento degli Atomi nello spazio vuoto.  Tale  rigido Determinismo materialistico, al quale anche l'uomo e la sua stessa anima erano  soggetti,  trovò una parziale  rettifica attraverso gli  scritti  di  Epicuro (347 -270)  e poi  in quelli di Lucrezio il cui fine  era quello di rinvenire un fondamento fisico alla Possibilità del libero volere e del  caso.  Entrambi introdussero il concetto di Clinamen  (Deviazione), per cui gli Atomi (come i pianeti) sono in grado di mutare spontaneamente la propria direzione e di infrangere la catena delle cause necessarie.
        L'età romana non fu soltanto un periodo di sete di sangue, ma anche di  pessimismo  e  di  completa  sfiducia   nel  potere  dell'uomo  di  costruirsi un avvenire.
       L'esistenza e la propaganda del Governo Imperiale che pretendeva di godere  dell'appoggio  delle  Antiche   divinità,  non  bastava  a distruggere la sensazione profondamente radicata che ogni uomo e ogni cosa fossero in balia dei  capricci della Sorte o Fortuna in tutto il  Mondo;
infatti  scriveva Plinio il Vecchio:
"In ogni  luogo ed ora,  solo la fortuna è invocata e nominata da tutti; essa solo si accusa,  si  condanna,  medita,  discute,  onora di  insulti:    incerta fautrice degli 'indegni.. .
      In tutto il mondo Mediterraneo fin dal  III° sec. a.C., milioni di persone  credevano  che  tutto  fosse  governato  dall'Imponderabile,  e molti  erano  certi  che  il  Caso o la Fortuna fossero  entità inaccessibili  all'intelligenza umana comune; concetto espresso dal poeta latino Ovidio il quale scrive:  
"FORTUNA,  LIETA DEL SUO TRISTO OFFICIO,
(La Dea Fortuna, su un denaro romano)
E TENACE  NEL  SUO  GIOCO  MUTEVOLE,
ALTERNA  GLI  INSTABILI  ONORI,
TALORA  A  ME, TALORA  ALTRUI  BENIGNA".

 
        Una Coppa d'Argento  scoperta a Boscoreale, presso Pompei, ed ora al Museo di Louvre mostra scheletri umani con 1  scritta:
"Godi la vita mentre sei vivo perché il domani è incerto"
Uno degli scheletri tiene in mano una grossa borsa di quattrini con su scritto: 'Invidia' e una 'Farfalla' (che rappresenta l'anima umana) Accanto, scheletri più piccoli suonano la lira e battono le mani.
        "Si ! La miglior cosa e una borsa piena,  con piaceri che permette  di acquistare:
"Si! Spendi i tuoi soldi fino a che sei in tempo".
       La credenza nella Fortuna, del resto,  si  estendeva ben oltre i confini  del mondo greco-romano e sopravvisse alla Roma  Imperiale.
       Dante la invocò durante il Medio Evo, mentre in molti paesi si continuò a mostrarle  la    stessa    devozione    appassionata, rappresentandola in vari dipinti.
Già  nel l°  secolo a.C., si iniziò a parlare più del Fato  e meno della Fortuna.  Il loro rapporto era vago ed oscillante; non è detto che vi sia una grande differenza fra "il  Caso ha così voluto”   o "era destino che così fosse", o altre frasi simili. Tutte queste affermazioni implicano l'Esclusione o la restrizione del valore di libertà di scelta ' quindi anche limitazione della condotta umana e della propria   autonomia. Orazio così  apostrofa la Fortuna, come se  il Fato la precedesse:

"SEMPRE A TE  INNANZI VA  L'INESORABILE
NECESSITA'  CHE  NELLA  MANO  FERREA (forse Marte )
TIEN  CUNEI,  CHE  ODI  TRABALI
E  DURI  UNCINI  E  LIQUEFATTO  PIOMBO" (forse riferito a Saturno").


      Il filosofo del III  secolo a.C. Alessandro  di  Afrodisia, osservò come fosse illogico credere contemporaneamente alla Fortuna e Fato. Alcuni  collocavano le due personificazioni, o divinità in regioni distinte dell'Universo: la Necessità al disopra della Luna e il caso e  i   demoni maligni   sono al  disotto.  Altri  salutavano  il  "Fato"  come possibile via di scampo dalla "Fortuna Cieca" . Il Fato , nel complesso appariva più rispettabile: " Almeno era una causa , un esile filo che corre  lungo tutta l'esistenza" come aveva asserito il fondatore dello Stoicismo Zenone (335 - 263 a.C.).  Il suo antagonista Epicuro, riteneva che la  miglior cosa fosse essere schiavi degli Dei, per quanto inutili,  ma anche del Destino dei filosofi.
     "I Fati reggono il mondo, le cose stanno in forza di una legge implacabile
.... Nascendo  muoriamo  e la fine è  racchiusa nel Pricipio" 

cantava  il poeta Manilio agli albori del l secolo, mentre  Aurelio Fusco, maestro di Ovidio, così riporta:" Dalla nascita è fissato  ad ognuno il giorno della morte".  Ambedue gli scrittori esprimono la credenza nell'inevitabile "Ferreo destino"  che dava allo stoicismo, nonostante la sua fede apparentemente  contraria  a   Dio e all'etica, il  carattere  di  una dottrina cupamente  Meccanicistica . Cicerone si rifiuta di accettare una Forza Cieca come  "Legge del Cosmo". Per lui il Fato è:  l'ordine e la concatenazione delle cause  e degli effetti" : per quanto riguarda la Fortuna, essa si invoca soltanto a  causa  della  "Oscurità delle cose e della nostra ignoranza  (Cicerone, Acad. 1, VII, 30).
     La risposta di Tacito al "Dilemma di un Fato Onnipotente" o di una "Volontà Umana Libera", non è meno pensosa, ma più tormentata, pensosa ed indecisa . Fatalista , egli accetta  l'intervento attivo del fato solo quando non siano disponibili altre cause.   - Tacito inclina verso  un "Compromesso Storico" :  "Ammettere  la determinazione  delle vicissitudini esterne dell 'uomo  non  da farne  dipendere  la vita interiore da una Scelta personale" .  
Egli asserisce che: "E' in noi  la Scelta del nostro modo di vivere";   ma,  interessante  è  il  commento  a proposito  delle  facoltà profetiche di cui sì diceva godesse l'Astrologo Tiberio Trasillo: ".. "professano altri l'opinione che ogni cosa sia governata dal  Fato, non già  secondo  gli  Astri,  ma per  naturale concatenazione  dl  cause determinanti; Libera è in noi la scelta  del nostro modo di vivere "
     Verso la fine del II°  secolo la difficile tematica passò sotto il vaglio del filosofo greco-siriaco Luciano di Somosata,  scettico ed umorista  paradossale,  il  quale  approdava  con  semplicità  verso  il Nichilismo;  egli asseriva che "Non bisogna nutrire nè speranze nè timori , ma ridere delle follie e delle pretese altrui"
      La credenza dl un Fato più o meno irremovibile, o dl un Cieco Caso furono l'origine di un diffuso senso della Vanità   delle cose della vita che Seneca  descriveva come caratteristico del suo tempo. Un enorme maggioranza della popolazione dell'Impero romano, inclusi molti uomini  istruiti,  credevano nella influenza delle Selle  e la loro accettazione  al fato o alla fortuna, traeva vigoroso impulso da questa fede.
        Credevano che il Sole e  la Luna,   come tutti i Pianeti, attraverso il loro  movimento  influissero  sulla Vita,  sulla Morte, e anche  sul destino e sulle fortune  del genere umano. In tutto l'Impero tale credenza era così  dominante  e  quasi  universale,  che  sì  deve  ritenerla  in quell'epoca "la religione per antonomasia  del mondo mediterraneo"
        La base della credenza negli astri, nasceva da una convinzione generale poiché esisteva una certa armonia fra la Terra e gli altri Corpi Celesti; una simpatica  armonia cosmica, per mezzo della quale tutti erano sottoposti alle stesse leggi celesti.
        L'uomo comune sentiva ed i filosofi insegnavano che esisteva unità nel cosmo  e interdipendenza fra le sfere.
       Oltre il vasto e spettacolare moto degli astri, come dietro le evoluzioni degli eserciti omerici davanti alla Città di Troia, doveva persistere un ordine,  e questo ordine,  doveva certamente prevalere  anche quaggiù.
        Bisogna ammettere una corrispondenza fra cielo e terra come aspetti complementari dell' universo: come conseguenza,  ciò che accadeva in alto doveva  riprodursi   anche   in  basso,   conformemente  allo  scambio incessante dì molecole ed effluvi  fra i due mondi.
        Si credeva inoltre che le sfere sì nutrissero delle emanazioni dalla  terra  perciò  sembrava  ragionevole supporre  che altre emanazioni inverse alle precedenti,  influissero profondamente sulla terra e gli esseri che vi abitano.  Veniva così limitato il potere di questi nel prendere decisioni autonome in quanto governati dalle immutabili, fredde ed indifferenti sfere . L'Astronomia e l'astrologia,  in quel periodo storico fuse fra dì loro, vennero come “Uccise”. Queste scienze suscitarono un grande entusiasmo in Platone  e,  dopo dì lui,  divennero la causa delle massime conquiste della scuola Alessandrina.
Seguendo i Poeti tragici che descrivevano come  divinità il sole la luna e le stelle; anche Platone affermava il loro carattere divino  e  inserì  nella  trama  del  suo stato ideale,  una  complessa ideologia astrale.
       Fu uno sconosciuto studioso d'Apamea in Siria (185-150 a.C.) che accolse i principi    base    dell'astrologia  come    "Chiave dell' Armonia dell'Universo". Ricco dì ingegno e di sconfinato desiderio dì sapere, contribuì a diffondere una rinnovata passione per i fenomeni fisici accettando l'astrologia la  quale scienza pura,  e la trasmise come tale nei secoli a venire. 
     Fu questa una delle cause per cui  l'astrologia, scienza sacra  godette  tanta popolarità. Bisogna ricordare  a proposito,  come gli antichi romani attuavano riti e culti al Dio Sole, come in fondo già da tempo facevano i Persiani (a tale proposito ricordare i culti al Dio  Mitra  e  quanto  scritto  nello  Zand-Avesta,  libro  sacro  di Zaratustra o Zoroastro. Lo  studioso  babilonese  così  prosegue:  'Nonostante le nostre differenze di linguaggio,  ciascuno di noi  vede la stessa luna e lo stesso sole”.
      In Babilonia il  significato della Luna  prese il sopravvento su quello  del  Sole  poiché  sì  era  scoperto  che  le  maree  e  le  loro influenze erano dì origine strettamente lunare.
Oggi  è  facile  comprendere  quanto  vi  fosse  dì  arbitrario  e fantastico   soprattutto   se   consideriamo   la   marea  lunisolare, specialmente evidente durante i momenti di siggizie  o d' eclissi. 
Le precipitose associazioni d’idee e le  generalizzazioni  frettolose  che  portarono a deduzioni ingiustificate dalla fisica alla psicologia. In altre parole,  sembrava molto Coerente, la dottrina dei corpi celesti i quali avrebbero avuto un'influenza su tutte le azioni umane  e le proprietà fisiche della terra.                                                                       
        Per gli Stoici, l'astrologia appariva un'eloquente manifestazione del razionalismo Universale. Per questi tale scienza aveva il pregio di essere chiara, completa  ed indiscutibile.
Si potrebbe pensare che le scienze astrologiche avrebbero potuto soppiantare sul piano logico le Credenze dell'Immortalità celeste, ma non  fu  così;  al  contrario  il  fondo Religioso dell' astrologia sì riaffermò.  Un poeta, che sì ritiene fosse il grande astronomo e geografo del Il sec. dell'era V., Tolomeo  di Alessandri, scrisse quattro libri proclamanti la sua devozione all'astrologia, rendendo omaggio allo Spirito Divino che presiede  "L'ordine delle Sfere Celesti",  e a tal proposito egli scrive. "So di essere un mortale, una creatura di un giorno; ma quando scruto le multiformi e roteanti Spire (Sfere) delle stelle, i miei piedi non sono più sulla terra, ma accanto a Zeus; mi sazio d'ambrosia   con il cibo degli dei".
   Gli  abitanti  del  mondo romano avevano un senso acutissimo del significato religioso e ritualistico delle suddivisioni del tempo: i secoli, gli anni, le stagioni, le ore, i minuti. Sotto l'influenza dl Platone,   queste erano considerate come corpi   o divinità, e venerate come tali da Zenone e la maggior parte degli  stoici.
All'innumerevole  massa  dì   antichi  romani  che  credevano nell'astrologia,   sembrava   intollerabile   scoprire   fra   la   sua conoscenza, la realtà dl un destino meccanicistico assai oppressivo, destino che, se logicamente compreso, portava a non credere al Libero Arbitrio,   poiché  esso  sarebbe  stato insito nella dinamica micro-macrocosmica eterna, comprensibile solo a pochi.
Risolvere o veder chiaro l'antico problema del Libero Arbitrio, ancor oggi non risolto,  era una difficile impresa che poteva esser condotta avanti solo dagli astrologici esperti e dì professione.  Il loro compito era quello dì studiare in modo  particolare i 7 pianeti  indicati dagli antichi in Saturno, Giove, Marte,  Sole, Venere, Mercurio e Luna a loro si attribuivano una grande influenza su tutto ciò che "Stava di sotto", in particolare su quello che era ritenuto il "Centro del Sistema: la terra e gli uomini.
        L'influenza dei pianeti sembrava tanto più crudelmente decisa ed inesorabile, in quanto ogni pianeta  era considerato come il sovrano dì una sfera che  racchiudeva la terra,  e ognuna dì queste sfere era immaginata  come  un muro trasparente di cristallo.  Così  i 7  Cerchi concentrici separavano la Terra dal Cielo ed ostacolavano  le Anime nel loro "Volo verso l'Alto"
       Il sistema zodiacale  era basato sull'ordine Tolemaico, geocentrico dei  pianeti, sistema che derivava certamente dall'antica babilonia la quale era stata insegnante di astronomia a tutto il mondo  ellenico e persiano.   
        Dopo i pianeti,  il secondo grande elemento di questa miscela di scienza  e  fantasia,  era  rappresentato  dallo  Zodiaco:  "Cintura di stelle,  Grande corridoio celeste,  il cui nome greco significa  "Immagini di animali". Scriveva Cicerone:
"Vi è una forza di tal natura  che  ogni sua parte influisce sul cielo, e lo modifica in modo diverso a seconda delle stelle, che in  un dato momento si trovano in una località precisa". Erano 12 le Costellazioni alle quali si attribuiva  l'influenza più potente del Destino Umano. Alcuni scrittori collegano i pianeti non solo  al  Tempo,  alla  Terra  madre,  e  alle  stagioni,  ma  anche  ai tradizionali Dei olimpici,  rappresentandoli come un anello circolare il cui centro è   Giove,  Signore del "Tutto".
Abbiamo  già accennato  come  la  maggioranza  degli  abitanti dell'Impero Romano credevano nell'influenza delle sfere  celesti,  in modo particolare ai 7 pianeti e ai punti  dello Zodiaco.
          Il popolo credeva che  le  cinque Sfere  decretavano cosa doveva accadere   e  che  l'uomo ha  facoltà di leggere e  scoprire in anticipo i decreti.
        Già nel 300 a.C. circa, l'allievo dì Aristotele, Teofrasio, affermò che  la cosa più straordinaria della sua epoca era la capacità dei caldei  (Così  erano  chiamati  gli astrologi  per  la  loro  origine mesopotamica),  dì predire non solo gli eventi dì interesse pubblico, ma persino la vita e la morte dei singoli. Fu in quel periodo che per la prima volta sì diffusero anche in Grecia.  Infatti, come racconta  Diodoro,  gli astrologi sì misero a profetizzare le vicissitudini di prosperità e sventura non solo dei popoli, o dei paesi, ma anche dei Re e dì persone comuni. Una delle  principali  attività  degli  astrologi  dì  mestiere, consisteva nel fornire oroscopi servendosi a questo fine di sistemi  dello zodiaco più o meno   complicati per registrare la posizione dei  corpi celesti e dei segni dello zodiaco all'atto del concepimento di un individuo si da determinare la fortuna o l'avvenire di questi.
 Il primo oroscopo conservatosi risale al 410 a.C., ma certi aspetti della  loro  tecnica  sono  ancora  più  antichi  e  provengono  dalla Babilonia pre-ellenica, dove sì usava predire il destino dei fanciulli secondo la posizione del sole,  della  luna e degli altri  pianeti  del sistema solare.
          Il centro degli studi astrologici era Alessandria d'Egitto, ma anche in  Italia,  questa  scienza soppiantò l'antico metodo di  leggere il "Volo degli degli uccelli" o delle "interiora delle  vittime sacrificate"    139 a.C.).  La grande voga degli Astrologi, però, non era dovuta soltanto alle loro  doti  profetiche  dell'Astrologia Fatalistica  o Scientifica,  ma interessante era verificare come l'accettazione  incondizionata di un universo meccanicistico,  non soddisfaceva l'umana sete dl una "Guida Spirituale".
     Fu perciò che accanto a tali studi sorse e si sviluppò l'arte dell' "Astrologia Catartica".  La  sua teoria  consisteva nel  fatto  che  i Pianeti o le Sfere Celesti esercitassero una realtà sulla vita umana, un influsso potente si, ma non inesorabile;  così che determinando i giorni,  le  ore  e  i  minuti  di predominanti influenze astrali,  gli astrologi potevano consigliare ai loro clienti il modo di "Tenere in scacco i cieli" decidendo o evitando certe azioni nei momenti o nelle stagioni più favorevoli.
Gli uomini più colti dell'epoca sostennero che l'uso di una tecnica appropriata, permetteva effettivamente di scoprire l'avvenire  e, per riuscirvi, l'astrologia era l'unico metodo  Scientifico.
      La Consacrazione del Panteon  al Sole, alla Luna e alle  Stelle,  ad opera di Augusto, è un atto storico che va ricordato, anche se non bisogna di¬menticare  che  nello  stesso periodo storico,  per timore che  "Certi oroscopi" potessero incoraggiare questo o quel nobile a pretendere il Trono,  fu  Creata  una  specie  dl  Legge  mirante  ad  espellere   gli  astrologi da Roma     Tiberio,  sebbene  uomo  dì  alto  livello  intellettuale, 
credeva profondamente nell'astrologia, anzi, egli aveva come amico un celebre astrologo contemporaneo, Trasillo di Alessandria, platonico convinto e autore  di un  trattato  di  numerologia  e  scritti  astrologici  molto influenti.   Egli aveva lavorato nel Centro filosofico di Rodi, dove Tiberio,  durante  un  solitario periodo di esilio sotto Augusto,  lo aveva incontrato e fu allora che egli Cominciò ad interessarsi d’ astrologia. Per  Curiosità  sì  può  aggiungere  che  il  figlio dell'Astrologo  Baibilio  fu  influente uomo dì corte e Astrologo di Nerone.    Infatti, sulle monete ufficiali  romane  vi  sono  abbondanti  segni delle credenze e delle  attività oroscopiche.   Uno dei  segni numismatici preferiti  da  Augusto  fu  il  Capricorno,  segno  zodiacale  del  suo "Concepimento".  Quando il figlio dì Domiziano morì in tenera età, fu raffigurato  seduto sul Globo Terrestre,  come Giove Fanciullo con le mani protese  verso le  stelle.
      La fede cieca nell'Astrologia non mancò di  suscitare reazioni  contrarie durante il Il secolo a.C. quando nacquero i primi moti di resistenza contro  il  fatalismo;  nel  secolo  successivo  la fede  in questa scienza non riuscì  ad accattivarsi  le simpatie dì Lucrezio, Cicerone  o Cesare. Infatti, i poeti romani non si astennero da consultazioni astrologiche, anche se queste erano circondate da più o meno profondo scetticismo.
Negli anni che seguirono l'ebreo Filone, l'enciclopedico Plinio il Vecchio, il siriaco Giovenale e l'agricoltore Columella non furono più credenti assertori di tale scienza  sacra. 
Comunque Tacito, nei confronti di questa scienza, sospese il giudizio accettando come vera l'Astrologia fatalistica  ritenendola possibile di errore a causa dell'incapacità di alcuni "mestieranti'.
In quel periodo di tempo sebbene le fortune degli astrologi fossero contrastate dall'ascesa delle religioni mistiche, pochi pensatori seri mettevano in dubbio l'influenza degli Astri  sulle vicende umane.
        Un  avversario ostinato apparteneva allo stesso circolo dì Adriano, il grande Imperatore assai incline allo studio dell'astrologia: il suo nome era Favorino dì Arelate  (Arles),  dotto enciclopedico che, pur dichiarando  "Follia"  l’opposizione  al Signore dì  30 Legioni,  sì  schierò contro  gli  astrologi  con  14  argomenti  che minavano le basi delle fantastiche  generalizzazioni  e  deduzioni  su  cui  gli  oroscopi  si fondavano.
       Fu da allora che l'astrologia perse il  suo prestigio sotto l'imperatore stoico Marco Aurelio e  sotto   Antonino Pio   (121- 138 d.C.).   La sua influenza rimase enorme nel corso della storia e della cultura in genere.
       Il  dotto Bizantino  dal nome di cui si conosce solo il nome,  Stefanio, considerava  l'Astrologia: "La più  utile di tutte  le arti  e la regina delle scienze".   Per terminare riportiamo quanto scrisse Shakespeare il quale pur condividendo le idee scientifiche del suo tempo, allude all'Astrologia credendo  all'influenza  del  Sole,  della  Luna  e  dei  pianeti  sulla materia e  sulla stessa vita.   Ma egli è forse uno dei pochi a non credere all'influenza dei Corpi Celesti  sul destino individuale, e Vladimìr  Majakovskij  (1893-1930) il quale in una poesia scrive:
<<S'io non fossi poeta,  sarei  diventato un  Astrologo>>.

di  Alessandro  D'Angelo

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